MORGANTI
I Morganti
compaiono a Villa con un Giovanni di Domenico da Lugliano nel secondo quarto
del secolo XVII. Ma siccome questo cognome è molto diffuso in Lombardia e
Canton Ticino, mentre è rarissimo in Toscana, crediamo che la provenienza
originaria della famiglia sia dal nord d’Italia,
tanto più che l’occupazione, alla quale la troviamo dedicata, ci ricorda quella
corrente immigratoria di artigiani, diciamo così, metallurgici, proveniente
dalle province lombarde, e di cui si trovano nello stato civile villese vari
rappresentanti, a cominciare da quel Paribello da Brescia, che alla metà del
‘500 era a Villa “fabbrichiere del rame e del ferro”.
Imparentatisi
con la famiglia del “fabbrichiere” Lazzaro Mirri, i Morganti divennero più
tardi proprietari della fabbrica, che diede loro ricchezze e rinomanza, tanto
che un Pietro, nel primo quarto dell’Ottocento, fu chiamato a dirigere a
Candeglia, presso Pistoia, l’opificio del rame, allora proprietà del Granduca
di Toscana e divenuto più tardi proprietà del figlio di Pietro, Antonio.
Con l’acquisizione di questo opificio, la famiglia Morganti
dimorò prevalentemente nella nuova sede, creando altra ramerìa nella vicina
Valdibure e mantenendo peraltro la proprietà e la gestione della fabbrica di
Villa, ora cessata come tutte le altre.
Un
componente di questa famiglia, Pietro, padre del suddetto Antonio, diede
origine ad una gentile leggenda tuttora viva fra la popolazione villese.
Durante la
recrudescenza della pirateria saracena, nel periodo napoleonico, questo Pietro
fu catturato dai pirati durante un’incursione su Livorno, dove egli si recava
per il commercio del rame, e trasportato schiavo nel nord Africa. Devotissimo della “Madonna delle Grazie”, la
cui immagine è venerata nel santuario di Duomo, sopra Villa Basilica, la
pregava ardentemente di concedergli di poter tornare alla sua casa. E la grazia
gli venne in modo insperato. Essendogli stato chiesto se sapesse fare qualche
mestiere ed avendo egli manifestato la sua abilità nella lavorazione del rame,
gli fu promesso dal sultano che, se avesse insegnato quest’arte alla gente del
luogo, sarebbe stato ricondotto libero in Toscana.
Il che
avvenne puntualmente, e l’ex-schiavo offrì come ex-voto alla Madonna di Duomo
le grosse catene, che aveva portato ai piedi e che tuttora si vedono appese ad
una parete della chiesetta di Duomo.